Green Deal: i 5 Colpi che lo Frena

Pubblicato: 30/12/2025, 16:18:555 min
Scritto da
Maria Gloria Domenica
Categoria: Lifestyle
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Green Deal: i 5 Colpi che lo Frena
Sfide normative, politiche e economiche minacciano l'ambizione climatica dell'UE nel 2025

Il Green Deal europeo, pilastro per la neutralità climatica entro il 2050, incontra ostacoli crescenti: rallentamenti normativi, pressioni politiche e costi elevati rischiano di diluire i suoi obiettivi. Analizziamo i principali 'colpi' che ne frenano l'avanzata, basandoci su fonti autorevoli.

Rallentamento normativo: il primo ostacolo

Il Green Deal europeo 2025 mira a ridurre le emissioni di gas serra del 55% entro il 2030 rispetto ai livelli del 1990, coinvolgendo settori come energia, produzione e agricoltura. Tuttavia, un rallentamento normativo sta emergendo come primo colpo significativo. Misure chiave, come la Green Claims Directive contro il greenwashing, sono state sospese, creando incertezze per le imprese che devono adattarsi a regole in continua evoluzione. Questo ritardo non solo posticipa l'attuazione di standard ambientali rigorosi, ma rischia di minare la credibilità dell'intero piano, lasciando spazio a pratiche opache che contraddicono gli obiettivi di trasparenza e sostenibilità.

La proliferazione di normative, come evidenziato da analisi economiche, aumenta i costi di compliance per le aziende europee. Tra il 2019 e il 2024, l'UE ha approvato circa 13.000 atti normativi, più del doppio rispetto agli USA, con impatti negativi sui profitti, stimati in un calo dell'8% medio secondo studi recenti. Il mancato completamento del mercato unico europeo aggrava il problema, alzando i costi di produzione dei beni manifatturieri del 44% e dei servizi del 110%, secondo stime del FMI. Questi elementi normativi complessi stanno trasformando l'ambizione verde in un labirinto burocratico che frena gli investimenti.

Per superare questo ostacolo, serve una semplificazione mirata, come proposto nei programmi UE per il 2025, che includono la riduzione degli obblighi di dovuta diligenza e l'ottimizzazione del meccanismo CBAM. Solo con regole chiare e coerenti si potrà mantenere l'ambizione del Green Deal, evitando che il rallentamento normativo diventi un freno irreversibile alla transizione ecologica.

Pressioni politiche e compromessi

Le pressioni politiche rappresentano il secondo colpo al Green Deal, con la crescita di forze contrarie a regole ambientali rigide che spingono verso compromessi. Secondo il Green Deal Risk Radar, molte normative vengono diluite, rallentate o rinviate, indebolendo l'intero framework. In un contesto di elezioni e cambiamenti geopolitici, mantenere la coerenza tra competitività economica e ambizione climatica diventa una sfida cruciale, con il rischio di 'watering down' che minaccia gli obiettivi di impatto zero entro il 2050.

In Italia e nell'Eurozona, la crescita del PIL è prevista al +0,8% nel 2025, ma fattori come la stretta monetaria e le norme ambientali rigide pesano sulla traiettoria. Il Rapporto Draghi sottolinea come le scelte europee soddisfino la sostenibilità ma mettano a rischio crescita e sicurezza, necessitando revisioni di meccanismi come ETS e CBAM che creano svantaggi competitivi. Queste pressioni politiche non derivano solo da interni UE, ma anche da dinamiche globali che influenzano le decisioni legislative.

Per contrastare questo, il programma UE 2025 prevede attivatori trasversali come la semplificazione e la riduzione degli ostacoli al mercato unico, promuovendo innovazione e decarbonizzazione. Un approccio equilibrato potrebbe trasformare le pressioni in opportunità, garantendo che i compromessi non sacrifichino gli standard ambientali essenziali per il futuro dell'Europa.

Costi elevati e scarsità di fornitori

Il terzo colpo arriva dai costi iniziali elevati e dalla scarsità di fornitori sostenibili, ostacoli chiave per il Green Procurement. Sebbene i benefici a lungo termine come risparmio energetico e riduzione rifiuti siano evidenti, giustificare l'investimento iniziale è difficile in periodi di incertezza economica. Le PMI, in particolare, faticano ad adattarsi, rallentando l'adozione di politiche verdi su scala ampia.

La resistenza al cambiamento e la complessità normativa aggravano il problema: normative in evoluzione variano tra paesi, complicando strategie uniformi per aziende internazionali. Questo si traduce in ritardi negli acquisti verdi, nonostante incentivi fiscali e fondi pubblici dal Green Deal. La scarsa disponibilità di fornitori che rispettano standard ecologici crea colli di bottiglia, specialmente per settori ad alta intensità energetica.

Superare questi ostacoli richiede impegno: politiche pubbliche favorevoli e finanziamenti mirati possono accelerare la transizione. Ad esempio, ottimizzare programmi di investimento come il Piano Transizione 5.0, pur con i suoi limiti passati, potrebbe incentivare fornitori sostenibili, trasformando i costi iniziali in opportunità competitive per un'economia circolare più resiliente.

Impatto economico e dazi globali

Il quarto e quinto colpo combinano rincari energetici e dazi globali, frenando la crescita legata al Green Deal. In Italia, il PIL 2025 è rivisto al +0,6%, penalizzato da energia cara e dazi USA-Cina che potrebbero sottrarre 0,4% al PIL. Meccanismi come ETS e CBAM, pensati per la sostenibilità, generano svantaggi competitivi, riducendo l'attrattività dell'UE per gli investimenti.

Il rapporto Confindustria evidenzia come l'energia e il Green Deal siano ostacoli principali, con il PNRR che eroga solo metà delle risorse previste. La proliferazione normativa e il mancato armonizzazione del mercato unico aumentano costi, mentre dazi esterni amplificano le pressioni. Questi fattori economici rischiano di trasformare il piano verde in un peso per l'industria manifatturiera.

Per mitigare, l'UE punta su pilastri come decarbonizzazione e sicurezza economica, con focus su industrie energetiche e tecnologie pulite. Sfruttare la circolarità e rivedere norme come CBAM per piccoli importatori potrebbe bilanciare competitività e sostenibilità, assicurando che i colpi economici non fermino il cammino verso una Europa neutra climaticamente.

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