L'eccezionale successo di Checco Zalone al botteghino rappresenta una spina nel fianco per i radical chic
Le origini del termine 'radical chic'
Il concetto di radical chic nasce negli anni '70 per descrivere uno stile di vita borghese che imita atteggiamenti radicali di sinistra per moda o snobismo, senza rinunciare ai comfort economici. Coniato dallo scrittore Tom Wolfe, il termine unisce 'radical' inglese, che indica posizioni politiche estreme, e 'chic' francese, sinonimo di eleganza raffinata. In Italia, entrò nel dibattito pubblico grazie a figure come Indro Montanelli, che lo usò per criticare intellettuali progressisti accusati di incoerenza tra proclami egualitari e vite lussuose. Questo fenomeno evidenzia un doppio standard: disprezzo ostentato per il denaro unito a uno stile di vita agiato, spesso tradotto in superiorità morale presunta.
L'espressione critica chi adotta idee anticonformiste per convenienza, come spiega il Vocabolario Treccani, definendolo un atteggiamento ironico di borghesi che professano tendenze radicali senza rischi reali. Wolfe lo immortalò descrivendo party newyorkesi dove élite come Leonard Bernstein ospitavano Pantere Nere, mescolando attivismo autentico con estetica fashion. In quel contesto, i ricchi si sentivano superiori moralmente senza sacrifici, creando un 'cortocircuito' tra privilegi e politica di strada. Oggi, il termine si applica a chi esibisce cultura elevata, trasandatezza ricercata o scelte gastronomiche élitarie, imitando controculture senza sostanza.
In Italia, il radical chic evolve verso critiche a una sinistra liberale che difende multiculturalismo e ambientalismo da salotti buoni, come noto da dibattiti degli anni '70 in poi. Montanelli lo puntò contro Camilla Cederna, simbolo di 'signorina di buona famiglia' che sposava cause operaie. Questo uso spregiativo persiste, opponendo élite colte a masse popolari, preparando il terreno per clash contemporanei come quello con successi pop come Zalone.
