Dopo 25 anni
L'omicidio di Nicola Vivaldo: un'esecuzione mafiosa irrisolta
Il 23 febbraio 2000, intorno alle 23:30, Nicola Vivaldo fu ucciso con quattro colpi di pistola calibro 7.65 sparati a bruciapelo alla testa mentre parcheggiava la sua Hyundai Pony in via Balzarotti, a Mazzo di Rho, frazione del comune milanese. La figlia era appena scesa dall'auto quando un commando lo circondò, trasformando un rientro serale in un agguato mortale. Vivaldo, 66 anni, originario della Calabria e con precedenti per associazione mafiosa, lesioni, detenzione di armi e rapina, morì sul colpo dopo aver perso il controllo del veicolo, finendolo contro un'altra auto parcheggiata. L'esecuzione, avvenuta a distanza ravvicinata con silenziatore, portava inequivocabilmente il marchio della 'ndrangheta, ma per 25 anni il caso rimase archiviato come cold case senza colpevoli identificati.
Le indagini iniziali non trovarono elementi sufficienti per identificare gli esecutori, nonostante i sospetti su ambienti criminali calabresi trapiantati al Nord. Vivaldo era considerato un trafficante di droga vicino alla cosca Gallace di Guardavalle, in provincia di Catanzaro, e alla locale di 'ndrangheta di Rho. Un appunto di un investigatore recuperato anni dopo riportava le parole di un confidente: 'Nicola si stava comportando male, ha fatto arrestare troppe persone'. Questo dettaglio, emerso retrospettivamente, suggeriva motivazioni interne al clan, ma mancavano prove concrete per procedere. L'omicidio avvenne in un contesto di faide e sospetti di tradimento, con Vivaldo accusato di aver collaborato con le forze dell'ordine, causando arresti tra gli affiliati.
Solo nel 2025, grazie a nuove dichiarazioni, il Nucleo investigativo dei Carabinieri di Milano, coordinato dalla pm Alessandra Cerreti della Direzione Distrettuale Antimafia, riaprì il fascicolo. Il gip Tommaso Perna emise sei misure cautelari per omicidio aggravato, ma la storia non finì lì, aprendo la porta a sviluppi inattesi come le recenti scarcerazioni.
