Due anni dopo l'arresto del giornalista investigativo Ivan Golunov, il suo caso rimane un simbolo della crackdown del Cremlino contro la libertà di stampa. Dalle accuse fabbricate alla liberazione tra proteste, emergono pattern di persecuzione che colpiscono i media indipendenti.
L'arresto choc di Ivan Golunov
Il 6 giugno 2019, Ivan Golunov, giornalista investigativo del sito Meduza, viene fermato a Mosca con l'accusa di produzione e spaccio di droga. La polizia russa perquisisce il suo zaino e appartamento, trovando presunte sostanze illecite, ma Golunov nega ogni addebito e denuncia percosse da parte degli agenti. Questo episodio scatena immediata preoccupazione internazionale, con l'OSCE che esprime 'seria inquietudine' per un possibile attacco alla libertà di stampa. Golunov era noto per inchieste su corruzione e criminalità organizzata, inclusi legami con funzionari pubblici.
Le indagini di Golunov si concentravano su temi sensibili come gli interessi economici dietro la chiusura dei tram a Mosca, il business dei funerali e i prestiti usurari per pignorare case. Secondo fonti, il suo lavoro recente puntava al vicesindaco di Mosca Piotr Biryukov e presunte attività di gruppi criminali legati al Comune. L'editore di Meduza, Galina Timchenko, afferma che il giornalista riceveva minacce da mesi, legando l'arresto alla sua attività professionale. Se condannato, rischiava fino a 20 anni di carcere, un rischio sproporzionato che ha alimentato sospetti di montatura.
La diffusione di foto di un presunto laboratorio di droga, poi rivelatesi in gran parte false – solo una scattata nell'appartamento di Golunov – ha esposto errori grossolani della polizia. Telegram canali legati alle forze dell'ordine amplificano le immagini, ma le autorità ammettono l'errore. Questo caso evidenzia abusi di potere, con Golunov posto agli arresti domiciliari fino all'8 agosto 2019, mentre la comunità online russa mobilita critiche feroci contro la polizia.
Protesta di massa e liberazione improvvisa
L'arresto scatena un'ondata di indignazione: il 12 giugno 2019, una protesta non autorizzata a Mosca raduna migliaia di persone in supporto a Golunov, chiedendo punizioni per i fabbricatori di casi penali. La polizia in tenuta anti-sommossa carica i manifestanti, arrestando centinaia, tra cui l'attivista Alexei Navalny e giornalisti russi e stranieri come un collaboratore di Der Spiegel. L'OSCE condanna queste detenzioni, sottolineando il ruolo dei media come 'cane da guardia' della società.
Pressioni interne ed esterne portano alla svolta: Golunov viene liberato senza accuse il 11 giugno, dopo che il procuratore capo di Mosca ammette l'assenza di prove. Reazioni da media, ONG e figure di spicco accelerano il processo, con Meduza che celebra la vittoria ma avverte sui pericoli persistenti. Questo raro happy end contrasta con la repressione sistematica, offrendo uno spaccato sul malcontento popolare contro gli abusi polizieschi.
Nonostante la liberazione, il caso Ivan Golunov diventa simbolo di resistenza. Giornalisti e netizen russi usano social media per denunciare corruzione e falsi processi, amplificando il dibattito su diritti umani e libertà di espressione in Russia.
Giustizia parziale: condanne ai poliziotti
Sei mesi dopo la scarcerazione, nel 2021, cinque ex agenti di polizia vengono incriminati per fabbricazione del caso. Il 21 maggio, la corte li condanna a pene da 5 a 12 anni di prigione, ordinando a ciascuno di pagare a Golunov 1 milione di rubli (circa 13.600 dollari). Meduza esprime scetticismo, ritenendo che la vera mente dietro il complotto – forse alti funzionari – resti impunita, limitando la giustizia a pedine minori.
Golunov, ex reporter di Meduza, continua la lotta legale. Nel luglio 2023, vince 1,5 milioni di rubli (16.500 dollari) in danni per il caso falsificato, un risarcimento che riconosce le violazioni subite ma non ripara pienamente i traumi. Questo verdetto rafforza le accuse di persecuzione mirata contro investigatori scomodi, in un contesto di crescenti restrizioni ai media.
Il processo evidenzia pattern ricorrenti: foto manipolate, perquisizioni dubbie e accuse di droga usate per silenziare dissenso. Casi simili colpiscono altri giornalisti, indicando una strategia del Cremlino per intimidire la stampa indipendente attraverso forze dell'ordine compiacenti.
Un simbolo della repressione mediatica russa
Due anni dopo – e oltre – il caso Golunov illumina la crackdown del Cremlino sulla stampa. Dal 2019, Russia ha intensificato censure, etichettando media come 'agenti stranieri' e arrestando reporter per 'fake news' sulla guerra in Ucraina. Golunov rappresenta i rischi per chi indaga corruzione, con minacce e processi-farsa come strumenti di controllo.
Fonti come The Moscow Times documentano come, nonostante vittorie legali, il clima repressivo persista. Meduza, ora esiliata in Lettonia, continua inchieste ma sotto pressione costante. Casi analoghi, da Vladimir Kara-Murza a Evan Gershkovich, mostrano un'escalation post-2022.
Il caso offre uno sguardo grim sul futuro della libertà di stampa in Russia: proteste popolari possono forzare rilasci, ma il sistema privilegia fedeltà al potere su verità e accountability. Per i giornalisti, persistere significa rischiare tutto, in un panorama mediatico sempre più soffocato.
