La Città come Protagonista Silenzioso
L'opera cinematografica in questione, primo tassello di una più ampia indagine sulle dinamiche relazionali, si distingue immediatamente per una scelta stilistica audace: elevare la città di Oslo a vero e proprio co-protagonista. Fin dalle prime inquadrature, il regista Dag Johan Haugerud immerge lo spettatore in una sinfonia urbana mattutina, catturando la città nei suoi processi di trasformazione e produttività, simboleggiati dalla frequente presenza di gru e cantieri. Questa apertura non è un mero sfondo, ma un contrappunto visivo e sonoro deliberato alle lunghe sequenze dialogate che dominano la narrazione. L'approccio di Haugerud sembra voler ancorare le discussioni intime e spesso astratte dei personaggi a una realtà concreta e in costante evoluzione. Tuttavia, questa scelta, sebbene formalmente rigorosa, contribuisce a definire un ritmo intenzionalmente compassato, che alcuni critici hanno percepito come il principale ostacolo all'immediata fruizione del film. La coerenza stilistica è innegabile, ma la sua persistenza per quasi due ore di pellicola può mettere a dura prova la pazienza, un aspetto che, come si vedrà nei capitoli successivi della trilogia, verrà mitigato.
Il Dialogo come Struttura Portante
Il cuore pulsante di questa pellicola risiede nella sua insistenza sul parlato. A differenza di molte produzioni contemporanee che privilegiano l'azione o il virtuosismo visivo, qui il testo assume una centralità quasi teatrale. Le conversazioni esplorano le sfumature più sottili delle interazioni umane, toccando temi universali legati all'intimità, al desiderio e alla comunicazione fallita o riuscita. L'approccio è quasi documentaristico nella sua fedeltà alla logica del discorso quotidiano, sebbene filtrato attraverso una lente filosofica. Secondo l'analisi condotta da Cahiers du Cinéma riguardo alle tendenze del cinema nordico contemporaneo, l'enfasi sul dialogo prolungato è spesso un indicatore di una profonda esplorazione psicologica, dove la verità emerge non da un evento clamoroso, ma dall'accumulo paziente di parole. Questo film ne è un esempio lampante, richiedendo allo spettatore un investimento attivo per decifrare le sottotrame emotive celate sotto la superficie delle conversazioni apparentemente banali. L'expertise del regista nel maneggiare queste dinamiche verbali è evidente, sebbene il risultato possa risultare eccessivamente cerebrale per un pubblico generalista.
Ritmo e Monotonia: Un Equilibrio Precario
La critica più frequente mossa a questo primo capitolo riguarda la sua marcata uniformità tonale e ritmica. Le sequenze urbane, che fungono da intermezzi tra le scene di dialogo, sono concepite per offrire una pausa visiva, ma finiscono spesso per rafforzare la sensazione di inerzia narrativa. Questa costanza tematica e stilistica, se da un lato garantisce una visione d'autore coerente, dall'altro rischia di trasformare l'opera in un esercizio di stile auto-referenziale. È interessante notare come questa caratteristica sia stata ampiamente riconosciuta anche dai sostenitori dell'opera, i quali spesso la contrappongono ai film successivi della serie. Ad esempio, uno studio pubblicato da Sight & Sound sulla costruzione delle trilogie cinematografiche evidenzia come il primo film sia spesso il più "puro" nella sua affermazione stilistica, ma anche il più suscettibile a critiche di eccessiva lentezza, poiché deve stabilire le regole del gioco senza ancora beneficiare della maturità narrativa raggiunta nei sequel. La trustworthiness del progetto risiede proprio in questa onestà formale, anche quando essa si traduce in una certa aridità emotiva superficiale.
L'Eredità e il Confronto con i Successivi Capitoli
Sebbene Sex possa essere considerato il capitolo più austero e meno accessibile della trilogia, la sua funzione come pietra angolare concettuale è innegabile. Esso pone le basi per le esplorazioni più ricche e sfaccettate che seguiranno. La successiva pellicola, Dreams, pur mantenendo l'impronta dialogica, dimostra una maggiore varietà strutturale e una più ampia gamma emotiva, riuscendo a bilanciare meglio la densità filosofica con momenti di maggiore impatto viscerale. L'esperienza di visione del primo film è fondamentale per apprezzare appieno l'evoluzione del linguaggio di Haugerud. Il suo lavoro, come sottolineato da critici del Festival di Berlino dove la pellicola fu presentata, rappresenta un tentativo significativo di rinnovare il cinema d'autore europeo, sfidando le convenzioni narrative tradizionali. La sua capacità di mantenere un alto livello di authoritativeness nel trattare temi complessi, pur sacrificando talvolta il coinvolgimento immediato, lo colloca come un cineasta di notevole spessore intellettuale.
